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Siamo tutti con la testa sott’acqua, tuttavia sappiamo come respirare.

30 Marzo 2020

Ing. Marco De Mitri - NIER Ingegneria

In questo periodo di emergenza provocato dalla pandemia da Covid19, sembra a tutti noi di essere con la testa sott’acqua. Imprese ferme, scuole blindate, ristoranti chiusi. Una condizione giunta improvvisamente, con misure diventate sempre più restrittive via via che l’emergenza montava, giorno dopo giorno. E senza che, ancora oggi, si riesca ad intravedere un ritorno alla piena normalità nel breve termine (anche se l’uscita della Cina dalla fase acuta dell’emergenza lascia quantomeno un po’ di luce all’orizzonte).

Il nostro modo di vivere e lavorare sta cambiando radicalmente, spinto dagli eventi. Scuole, università e mondo del lavoro cercano di proseguire le attività anche con le persone chiuse nelle loro case, grazie ad un massiccio ricorso alle enormi potenzialità offerte da internet. Ma non è solo questo a darci la cifra del cambiamento in corso.

Molte fabbriche stanno riconvertendo la loro produzione. Non si contano più, ad esempio, le aziende di abbigliamento che in questi giorni stanno iniziando a produrre mascherine protettive, per aiutare i nostri concittadini ed il nostro personale sanitario a proteggersi dal contagio. Come in una vera e propria situazione di guerra, durante la quale le attività economiche sono costrette all’improvviso ad abbandonare le proprie produzioni tradizionali per realizzare i prodotti di cui si manifesta urgentemente una nuova e massiva esigenza. Per poi, a emergenza terminata, tornare alle produzioni originarie, o evolvere ulteriormente.

E poi abbiamo scoperto la complessità del mondo in cui viviamo, con gli innumerevoli intrecci di natura economica, geografica, sociale. Giorno dopo giorno sono state infatti “chiuse” sempre più attività economiche, lasciando alla fine operative solo quelle “essenziali” e quelle delle filiere a supporto delle stesse. Salvo poi renderci conto che le cosiddette filiere sono molto lunghe, complesse ed articolate, e che numerose attività apparentemente “secondarie”, sono pienamente a supporto delle attività essenziali. Ci muoviamo quindi, a livello di Paese, sul filo di un difficile equilibrio, in quanto sappiamo che per contenere con più efficacia il contagio occorre irrigidire le misure, ma misure troppo rigide rischiano di bloccare del tutto l’economia. Con in più la complicazione che i provvedimenti presi in un certo momento mostrano la loro efficacia 2-3 settimane dopo, per cui diventa particolarmente difficile poterli calibrare.

In Corea del Sud hanno affrontato il problema in modo pragmatico e innovativo, facendo ampio uso delle tecnologie odierne. Attraverso l’uso intelligente della grande mole di dati disponibili (eccoli: i famosi BigData!), sono riusciti non solo a circoscrivere, ma anzi ad “anticipare” il contagio, intervenendo in modo  mirato sui singoli individui a rischio e lasciando quindi aperte molte più attività economiche rispetto al caso italiano. La cosa sembra aver funzionato bene, e probabilmente altri Paesi (come la stessa Italia) seguiranno questa strada, anche se questo dovesse comportare qualche limitazione riguardo alla privacy.

In questa situazione di emergenza globale è poi interessante osservare come, oltre alle app sudcoreane, diverse altre informazioni preziose possono essere scambiate dai vari Paesi nello sforzo comune di contenere la pandemia. E non mi riferisco solo alle informazioni mediche relative alla conoscenza dei coronavirus, o agli studi su farmaci e vaccini. Parlo anche dei possibili approcci relativi alla “riapertura” che seguirà la fase acuta, riapertura che sappiamo bene non potrà essere repentina e totale.

Trovo interessante, a questo proposito, citare l’approccio israeliano, che prevede di riaprire le attività in una sequenza temporale sfasata in base all’età delle persone (prima i bambini nelle scuole, poi gli adulti nelle fabbriche, ecc.), lasciando per ultimi gli anziani, che hanno dimostrato essere particolarmente vulnerabili al Covid19 (specie se uomini). La deformazione professionale mi fa leggere questo approccio secondo il criterio della “valutazione del rischio”, dato come combinazione tra la probabilità e la gravità di un evento sfavorevole, dove l’evento in questione è l’esito di un contagio. Per gli anziani il rischio è molto alto, come purtroppo ci è noto. E, di conseguenza, per questi individui le misure di riduzione del rischio stesso devono essere più rigide (a rischio più elevato devono infatti corrispondere misure più stringenti). Come nel caso dell’approccio sudcoreano al contenimento del contagio, l’approccio israeliano alla post-emergenza, forse, sarà seguito anche da altri Paesi.

Tornando al cambiamento in atto nelle attività produttive, non mancano naturalmente idee innovative in campo medico. Carlo Ratti, ad esempio, ha promosso e realizzato il progetto no-profit ed open-source “CURA” (Connected Units for Respiratory Ailments), che consente di riutilizzare dei container per creare speciali moduli ad elevato biocontenimento che possono essere rapidamente realizzati e messi in funzione nelle città di tutto il mondo, rispondendo prontamente alla carenza di spazi di terapia intensiva negli ospedali. Idea intelligente e meritoria.

Ho infine il piacere di ricordare, tra le tante, l’iniziativa del dott. Renato Favero e dell’imprenditore Cristian Fracassi, che hanno inventato, realizzato e diffuso gli ormai famosi adattatori che consentono di trasformare le moderne maschere da snorkeling in maschere ospedaliere per favorire la respirazione a supporto dei malati di coronavirus. Una iniziativa da lodare, sia per l’intuizione del primario che per la prontezza e la disponibilità dell’imprenditore nel darle forma. Iniziativa che ha consentito, possiamo dire, proprio di far “respirare” le strutture sanitarie lombarde (e non solo) in questo momento critico.

In questo periodo di emergenza provocato dalla pandemia da Covid19, sembra a tutti noi di essere con la testa sott’acqua. Ma, aiutandoci, ci doteremo delle “maschere” (idee, comportamenti ed azioni) che ci faranno respirare, per tutto il tempo che sarà necessario.

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