SOSTENIBILITÀ AZIENDALE. CAPITOLO 3: FORMAZIONE DELLA DIREZIONE E DEL MANAGEMENT.
Terzo appuntamento sul percorso di sviluppo sostenibile aziendale. Questa volta parliamo del ruolo cruciale che ha la formazione per gli organi direttivi e il management.
A cura di Claudia Verna
[Sustainability Consultant & Impact Manager – Area Sostenibilità]
L’IMPORTANZA DEL MANAGEMENT NELLO SVILUPPO SOSTENIBILE.
L’adozione di pratiche di sviluppo sostenibile è una necessità imperativa per le organizzazioni di tutto il mondo. Affrontare le sfide ambientali, sociali ed economiche, come abbiamo visto nei precedenti articoli, richiede un impegno concreto e un cambiamento profondo nelle strategie e nelle operazioni.
Per garantire il successo di un percorso di sviluppo sostenibile, è, quindi, essenziale formare non solo chi ha un ruolo operativo, ma anche coloro che rivestono ruoli strategici. Un management informato e consapevole è in grado di cogliere la complessità dei problemi legati alla sostenibilità in un contesto in continua evoluzione, di analizzarli criticamente e di sviluppare delle strategie a lungo termine per affrontarli.
Fornire al più alto organo di governo societario e al management le nozioni necessarie per una comprensione approfondita della sostenibilità è, dunque, il primo passo per accoglierne i concetti nella visione e nella missione aziendale.
Le pratiche sostenibili, infatti, non dovrebbero mai rappresentare un’aggiunta isolata alle attività aziendali, quanto piuttosto un elemento ben inserito nelle decisioni strategiche. E il coinvolgimento del management gioca un ruolo cruciale per l’integrazione della sostenibilità nei processi decisionali a tutti i livelli dell’organizzazione. Migliora la capacità di identificare opportunità, rischi e sviluppare strategie che contribuiscano simultaneamente al successo dell’impresa e alla sua capacità di generare e distribuire valore a lungo termine.
Per questo è importante distinguere, in base agli ambiti di competenza e ai differenti livelli apicali, che tipo di formazione mettere in campo. Per farlo, però, occorre prima chiarire che cosa intendiamo quando parliamo di “competenze di sostenibilità”. Indubbiamente si tratta di un insieme interdisciplinare, che richiede un approccio sistemico e una combinazione di competenze tecniche e manageriali: dall’analisi di rischi e opportunità in ambito ESG alla valutazione degli impatti attuali e potenziali in un’ottica di lungo periodo; dalla leadership e la capacità di incidere sulla cultura aziendale alla gestione delle relazioni con gli stakeholder, solo per citarne alcune.
La prassi di riferimento UNI/PdR 109 attribuisce queste competenze al Sustainability Manager. Ma se la partita della sostenibilità si gioca a livello collettivo – aziendale, sociale, istituzionale – allora, all’interno di una comunità aziendale, tali competenze devono essere accessibili tanto a chi si occupa in senso stretto di sostenibilità quanto a chi si occupa di strategia (sebbene in misura diversa), perché sviluppo aziendale e sviluppo sostenibile non possono più essere scissi.
Quindi, cosa ci si aspetta dall’organo di corporate governance e dal top management?
Che conoscano «i possibili macro-trend ambientali e sociali a cui l’azienda è potenzialmente esposta […] (oltre a – n.d.r.) competenze legate all’integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile all’interno del piano strategico aziendale così come competenze legate alla misurazione delle performance di sostenibilità»[1]. Perché?
Perché sono necessarie per prendere decisioni in modo consapevole, altrimenti la sostenibilità resterà appannaggio di pochi senza mai diventare una leva competitiva.
LE COMPETENZE.
In una ricerca condotta dall’Osservatorio sulla Governance della Sostenibilità[2], il 60% delle aziende quotate italiane ha dichiarato di aver incluso la sostenibilità nello skill mix ottimale delle competenze per il C.d.A[3] ed è stato verificato come questo fattore cambiasse l’approccio dei consigli di amministrazione nei confronti degli aspetti ESG, passando da una mera verifica del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità alla pianificazione degli stessi in seno alla definizione di percorsi di sviluppo sostenibile. In sostanza, secondo i risultati di questo studio: «Le competenze sono quindi un fattore cruciale poiché permettono al consiglio di aumentare la propria capacità di giudizio critico, valutare le strategie di sostenibilità proposte dal management e selezionare quelle più coerenti con l’intero piano industriale».
Senza contare quanto negli ultimi anni sia cresciuta l’attenzione da parte di organismi regolatori e investitori nei confronti di un sostanziale allineamento tra la strategia aziendale e la sostenibilità. Una governance e un top management competenti in ambito ESG, migliorano sì la gestione interna, ma assicurano anche all’esterno che l’azienda sia allineata con gli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello comunitario e globale.
Tanto è vero che, come dimostrano i risultati di una serie di survey e interviste condotte da Deloitte e che hanno interessato Presidenti e Consiglieri di amministrazione di primarie aziende internazionali: «l’integrazione tra la strategia aziendale, gli obiettivi di sostenibilità e le azioni in ambito ESG rappresentano il principale tema ricorrente nell’ambito della pianificazione strategica»[4] del prossimo futuro e al primo posto delle tre competenze principali che caratterizzeranno i Board di queste aziende quelle ESG sono al primo posto.
Dunque, sempre di più, chi avrà la responsabilità di coadiuvare la conduzione aziendale verrà selezionato anche in base a queste competenze o dovrà acquisirle nel tempo. Ma ciò potrà accadere solo se le figure che esercitano la responsabilità ultima dell’impresa saranno adeguatamente consapevoli dei potenziali effetti di un simile cambiamento. Oltre a toccare il livello strategico, infatti, la formazione del management può impattare positivamente sulla cultura organizzativa. Quanto più la consapevolezza di una valenza della sostenibilità per il bene complessivo dell’impresa diventa un habitus in chi guida, tanto più aumenta la probabilità che gli elementi fondamentali della visione e della missione aziendale siano comunicati a tutti i livelli e condivisi e sviluppati dai collaboratori.
Non ci resta, quindi, che parlare della competenza essenziale che rende possibile il processo sin qui descritto. Non siamo sicuri si possa insegnare, certamente si può coltivare o apprendere per osmosi, lavorando al fianco di chi la pone in pratica. Più che una competenza in senso stretto, è un approccio mentale, è l’inclinazione al servizio: un diverso stile di leadership [5] in grado di attivare processi virtuosi all’interno delle aziende e al di fuori di esse.
Solo avendo chiaro uno scopo più alto[6] della semplice fornitura di beni e servizi, si ha la consapevolezza che con il proprio operato si può incidere positivamente sul pezzo di mondo che ci circonda. In questo modo, i percorsi di formazione e Board Induction, la definizione di strategie, obiettivi e KPI, le iniziative di sensibilizzazione e comunicazione interna/esterna, le azioni di supporto alle comunità locali iniziano ad avere senso. È proprio l’importanza percepita dello scopo ad alimentare il realismo necessario per fare autocritica e mettersi in ascolto di criteri e strumenti più ampi e inclusivi di quelli consueti. Solo in questo modo si potrà davvero imparare dai corsi di formazione e favorire man mano la corresponsabilità dei propri collaboratori, fidandosi della loro prospettiva e di tutti gli altri stakeholder.
[1] Minciullo M. – Zaccone M.C. – Pedrini M., La governance della sostenibilità. Esperienze e sfide in atto, EGEA 2022, p. 44.
[2] Dal 2013, l’associazione Sustainability Makers, in collaborazione con Assonime e ALTIS-Università Cattolica, ha avviato un osservatorio che monitora regolarmente il livello di integrazione dei criteri ESG nei sistemi di corporate governance.
[3]Minciullo M. – Zaccone M.C. – Pedrini M., La governance della sostenibilità. Esperienze e sfide in atto, EGEA 2022, p. 45.
[4] Deloitte, The Board of the Future. Le sfide del Board nel definire l’evoluzione della Governance del futuro, 2022, p. 14.
[5] R. K. Greenleaf ha coniato l’espressione “servant-leadership” nel suo saggio del 1970: The Servant as Leader.
[6] Argomento della seconda uscita di questa serie di approfondimenti dedicati all’impostazione di un percorso di sostenibilità aziendale.