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1 Ottobre 2021

Il possibile impatto di iniziative private sulla Roadmap europea per la produzione di energia da fusione nucleare

Intervista al Prof. Francesco Romanelli.

Articolo a cura di Stefano La Rovere, Giovanni Tenaglia – Area Ingegneria dei Sistemi, NIER Ingegneria

La ricerca sulla fusione nucleare, che si distingue dalla fissione per l’utilizzo di idrogeno come combustibile invece che di materiali radioattivi pesanti come l’uranio, prosegue ormai da più di sessanta anni con l’obiettivo di utilizzarla per produrre energia elettrica “pulita” e distribuibile sul mercato.

Il principale ostacolo è sempre stato il raggiungimento delle condizioni “ideali” per la reazione, che nelle condizioni presenti sulla Terra richiede altissime temperature e la formazione di plasma.

La ricerca nel campo si è indirizzata in larga parte verso la fusione a confinamento magnetico del plasma, in particolare verso reattori di tipo Tokamak, a cui appartengono i principali esperimenti in corso a livello mondiale, il più importante dei quali è ITER [1] in corso di realizzazione a Cadarache (Francia).

ITER è un progetto internazionale che punta a sciogliere nodi decisivi per la ricerca e a diffondere tra le industrie mondiali le conoscenze necessarie.

La produzione del primo plasma è attualmente prevista per dicembre 2025 e la prima reazione di fusione nel 2035.

A livello europeo, è stata definita una Roadmap [2] per la produzione di energia da fusione nucleare, promossa dal programma EuroFusion, che inserisce i risultati di ITER in un percorso che porterà alla realizzazione di un primo reattore dimostrativo europeo (DEMO) [3].

Schema di funzionamento di un Tokamak
Render 3D di SPARC

Negli ultimi anni, alcuni gruppi privati sono entrati in gioco supportando esperimenti innovativi.

Un esempio è ENI, che sta finanziando lo sviluppo del reattore SPARC [4] ideato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston e gestito dalla Commonwealth Fusion Systems [5] e del Divertor Tokamak Test (DTT) [6] da realizzare presso il centro ENEA di Frascati nel contesto del programma EuroFusion; SPARC utilizzerà materiali superconduttori innovativi per i magneti che confinano il plasma rendendo il reattore più compatto; DTT affronterà le problematiche tecniche e tecnologiche associate alla gestione dei grandi flussi di potenza prodotti dal plasma.

Un altro esempio è la General Fusion [7], compagnia canadese (finanziata, tra gli altri, da Jeff Bezos) che ha in programma la costruzione di un reattore a target magnetizzato (tecnologia mai sperimentata finora alle scale di un reattore).

La recente comunicazione di ENI [8] sul successo dei test realizzati sulle bobine superconduttrici di SPARC pone interrogativi sull’impatto che queste nuove iniziative potrebbero avere sul percorso definito per la produzione di energia elettrica da fusione nucleare.

L’ing. Stefano La Rovere (SLR), responsabile dell’Area Ingegneria dei Sistemi di NIER Ingegneria, che collabora da più di dieci anni al progetto ITER fornendo servizi tecnici riguardanti la progettazione di strutture, sistemi e componenti, ha intervistato sull’argomento il Prof. Francesco Romanelli.

Francesco Romanelli (FR) ha diretto le attività riguardanti la Fisica del Confinamento Magnetico in ENEA dal 1996 al 2006.

Dal 2006 al 2014 ha diretto JET, uno dei più grandi esperimenti di fusione a confinamento magnetico, attualmente operativo presso il centro UKAEA di Culham. Dal 2009 al 2014 ha diretto lo European Fusion Development Agreement ed ha firmato nel 2012 la prima European Fusion Roadmap. Dal 2015 è professore nell’Università di Roma Tor Vergata, dove insegna Fisica dell’Energia Nucleare nel corso di Ingegneria Energetica. Nel giugno del 2021 è stato nominato Presidente della società che si occupa della costruzione del Divertor Tokamak Test (DTT).

SLR: Viste le recenti novità sul reattore sperimentale SPARC, quali potrebbero essere le principali implicazioni per la ricerca sulla fusione nucleare, ed in particolare sulla European Roadmap to Nuclear Fusion?

FR: Il risultato del MIT è importante perché mostra come si possano costruire bobine a campi magnetici molto elevati, fino a 20 Tesla, utilizzando materiali superconduttori ad alta temperatura. È noto che il rapporto tra la potenza di fusione e la potenza persa per conduzione è praticamente proporzionale al prodotto del campo magnetico per le dimensioni del plasma al quadrato. Quindi è chiaro che campi magnetici più elevati consentono di elevare il rapporto tra la potenza prodotta dalle reazioni di fusione e la potenza persa, che è poi l’obiettivo di tutti gli esperimenti che devono produrre una quantità netta di energia, ed è possibile farlo con dimensioni più ridotte. Questa è una idea ben nota e perseguita anche in passato, ma fino a qualche tempo fa non era possibile realizzare campi magnetici elevati con bobine superconduttrici ed era necessario ricorrere a bobine in rame, senza alcuna prospettiva di tipo reattoristico.
Detto questo, occorre tener presente che i problemi per la costruzione di un reattore non si fermano alla possibilità di ottenere campi magnetici elevati, ma ce ne sono molti altri. Quello probabilmente più importante è quello che studiamo con il DTT: avere componenti che possano smaltire elevati carichi termici. Ora, più il reattore è piccolo, maggiore è il carico termico; quindi esiste un limite nel “giocare” sull’aumento del campo magnetico per ridurre le dimensioni della macchina. Come dicono gli inglesi: “il diavolo è nei dettagli”.
ITER è stato progettato con bobine a campo magnetico più basso, come permesso dalla tecnologia del tempo, che costituisce oggi una tecnologia ben stabilita e quindi a relativamente basso rischio. In ogni caso, ITER darà risposte insostituibili su gran parte degli altri aspetti; quindi, l’esperienza di ITER sarà cruciale per il raggiungimento dell’ energia da fusione, anche in presenza di questo risultato importante. Stesso discorso per le tecnologie per il riscaldamento del plasma: il Neutral Beam insieme alla Ciclotronica-Elettronica sono tra le tecnologie di punta; chiaramente, più le dimensioni del reattore si riducono, più difficile è far entrare un beam, in particolare un beam a ioni negativi in cui le densità di corrente sono tipicamente più basse di un beam a ioni positivi. Diciamo che occorre una visione complessiva, cioè occorre una progettazione del reattore che sia autoconsistente, in cui tutti gli aspetti sono tenuti in conto, non solo la necessità di operare a campi magnetici elevati.

Per quanto il discorso su DEMO sia più complesso, vale quanto detto prima: si tratta di avere un progetto che sia pienamente consistente. Sì può pensare per DEMO ad un campo magnetico un po’ più alto, ma occorre verificare che tutti gli altri aspetti (carichi termici, carichi neutronici, remote handling della configurazione ecc.) siano soddisfatti. Questa è ancora la grande sfida, che rimane intatta anche dopo i risultati del MIT.

SLR: I vertici ENI hanno definito i recenti risultati come forieri di una tecnologia game changer. Può essere che il magnete con tecnologia superconduttiva HTS sia un po’ la batteria al litio della mobilità elettrica?

FR: Vale quanto detto: è senz’altro un’esperienza importante. Tra l’altro questa tecnologia potrebbe avere un impatto anche sulla progettazione del solenoide centrale, consentendo di aumentare la durata dell’impulso, per un reattore che operi in forma impulsata. Infatti la variazione di flusso del campo magnetico dipende dalla intensità massima del campo magnetico del solenoide centrale: se la tecnologia mi consente campi magnetici più elevati, posso avere una variazione di flusso maggiore e quindi mantenere il plasma per tempi più lunghi. Inoltre, la proposta che fa il MIT prevede bobine smontabili (in particolare il reattore ARC), che possono essere aperte in modo da estrarre la camera da vuoto e sistemare un recipiente all’interno del quale c’è il materiale breeder liquido (fluoruro di litio-berillio FLiBe nella attuale proposta) per la produzione di trizio.

SLR: L’entrata in campo di soggetti “non convenzionali” per la fusione (da ENI a Bezos) è indice di una raggiunta maturità e di una nuova dinamicità in questo settore?

FR: Sono convinto di sì. Senz’altro la fusione oggi è un sistema più dinamico. La presenza di attori privati da questo punto di vista è un buon segno. ENI in particolare sta investendo molto non solo nell’esperimento del MIT ma, vorrei sottolinearlo, nell’esperimento DTT dove ENI è socio al 25% e dà un contributo assolutamente di primo piano per la progettazione la realizzazione della macchina.
La crescita di queste competenze in ambito industriale è il presupposto per l’affermazione della fusione come sorgente di energia economica. Ricordo che nella Roadmap citata prima, il coinvolgimento dell’industria era considerato uno dei punti qualificanti. Ci stiamo effettivamente muovendo in questa direzione.

SLR: Il reattore SPARC è gestito dalla Commonwealth Fusion Systems, di cui socio di maggioranza è l’ENI, che collabora anche al progetto DTT. In che posizione si trova l’Italia/Europa nell’ambito della ricerca sulla fusione?

FR: L’Europa è senz’altro all’avanguardia nella ricerca sulla fusione: è il continente che più ha investito e che di fatto padroneggia tutte le tecnologie chiave per la realizzazione del reattore. All’interno dell’Europa, l’Italia ha un ruolo molto importante, testimoniato dalla partecipazione delle ditte italiane, non ho bisogno di dirlo a voi, nella costruzione di ITER. A mio parere, l’industria Italiana ha già oggi tutto il know-how necessario per la costruzione del sistema magnetico, del Vacuum Vessel, delle Plasma Facing Components. Ovviamente ci sono aree in cui sono ancora necessarie attività di ricerca e sviluppo, in particolare sui materiali che devono resistere ad elevati flussi neutronici.

DTT è indubbiamente un’occasione d’oro per valorizzare queste competenze e portarle a sistema. La cosa importante è gestirle all’interno di un progetto integrato, in cui non serve solo conoscere come realizzare i singoli componenti ma come integrarli in un progetto, in una macchina che raggiunga certe prestazioni. E’ una grossa sfida per il sistema Italia, ma partiamo da una buona base, perché il know-how è presente nell’industria, nel mondo accademico e all’interno degli enti di ricerca. Si tratta di valorizzarlo all’interno di un’organizzazione che sia all’altezza di questa sfida.

SLR: Grazie Prof. Romanelli. E’ stato molto chiaro. Ci ha trasmesso ottimismo sulla direzione che è stata data al percorso verso la produzione di energia elettrica da fusione nucleare, che rimane consistente rispetto a quello che sta avvenendo, che è nella sostanza ciò che ci si augurava: il coinvolgimento dell’industria ed una Italia ed una Europa ben collocate nel contesto generale.

[1] ITER – the way to new energy

[2] Roadmap- EUROfusion

[3] DEMO- EUROfusion

[4] SPARC | Research | MIT Plasma Science and Fusion Center

[5] Commonwealth Fusion Systems

[6] DTT – Divertor Tokamak Test

[7] General Fusion – Clean Energy. Everywhere. Forever

[8] Eni, energia pulita come dal Sole nel prossimo decennio – Finanza & Impresa – ANSA.it


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